La perdita dell’innocenza è un’inchiesta iconografica sugli anni “della strategia della tensione”.
Loss of innocence is an iconographic study about the years known as “the strategy of tension”.
Loss of innocence è un progetto incompiuto, lasciato a se stesso a un certo punto. Non è diventato un libro eccettuata una copia che ho stampato per me, non è diventato una mostra. È stato pubblicato sulla rivista RVM, è visibile sulle pagine del mio sito e in parte sulle pagine del sito di Fotoromanzo Italiano, un collettivo di cui sono uno dei fondatori.
A La perdita dell’innocenza ho lavorato nel 2011, ossessivamente per mesi. Non facevo altro che scovare immagini dell’Italia, dagli anni di piombo alla strage di Capaci. Tutte le immagini sono state raccolte sul web attinte da varie fonti. Una volta che ne ho selezionato un numero sufficiente da ottenere un quadro di quei tempi e di quegli avvenimenti – nelle mie intenzioni erano gli elementi, i pezzetti, o i tasselli di un puzzle che poteva essere completato – ho iniziato a colorarli, non con i pennelli, ma con gli strumenti del software. Sì perché la quasi totalità delle immagini che ho archiviato nel mio computer era in bianco e nero.
Quasi tutto in bianco e nero è quindi uno dei momenti più importanti della storia recente di questo nostro Paese cioè il rapimento di Aldo Moro oppure – visto in un altro modo – la reclusione di Aldo Moro, che fu poi giustiziato dal Tribunale del Popolo, ad opera delle BR.
Dopo due giorni di prigionia Moro viene fotografato di fronte a un panno che reca la scritta Brigate Rosse e una stella a cinque punte. La fotografia di Aldo Moro dinanzi alla bandiera dei Brigatisti Rossi (delle BR) è un’immagine pressoché immortale, ne ha tutte le caratteristiche iconologiche.
L’autore è uno dei suoi carnefici e, per quanto ne so, non è un fotografo. Quasi certamente l’intento della fotografia è proprio quello di testimoniare che il corpo di Moro è in possesso delle BR. Egli è dunque lì, nella loro disponibilità, e di questo possiamo essere certi perché è l’indicalità della fotografia che ce lo assicura. La fotografia è una Polaroid, e la scelta di utilizzare quell’apparecchio non è certamente casuale. Io ritengo che la decisione dei brigatisti di usare la Polaroid sia stata, innanzitutto, una scelta di convenienza.
La tecnologia della Polaroid infatti permette(va) di evitare lo sviluppo della pellicola e la necessità di dover stampare la fotografia. Riflettiamoci: un rapitore che porta un rullino a un laboratorio è impensabile! E lo è anche organizzare una modesta camera oscura dove sviluppare e poi stampare le immagini. La tecnologia aiuta dunque i rapitori: essi possono fornire al resto del mondo una prova indicale che Moro è presso di loro e lo fanno con la Polaroid, un sistema che consente di vedere le fotografie istantaneamente e che proprio per l’assenza di ulteriori processi è un’immagine documentale per eccellenza.
Questo è un estratto dal mio libro LA BATTAGLIA DELLE IMMAGINI
Loss of innocence is an unfinished project, left to itself at some point. It did not become a book, except for a copy I printed for myself, it did not become an exhibition.
It was published in the RVM magazine, it is visible on the pages of my website and partly on the pages of the Fotoromanzo Italiano website, a collective of which I am one of the founders.
At The Loss of Innocence I worked in 2011, obsessively for months. I did nothing but discover images of Italy, from the years of lead to the Capaci massacre. All the images have been collected on the web drawn from various sources. Once I selected enough of them to get a picture of those times and events – in my intentions they were the elements, tiles, or pieces of a puzzle that could be completed – I started coloring them, not with brushes, but with software tools. Yes, because almost all of the images I stored on my computer were in black and white.
Almost everything in black and white is therefore one of the most important moments in the recent history of our country, namely the kidnapping of Aldo Moro or – seen in another way – the imprisonment of Aldo Moro, who was then executed by the Tribunale del Popolo, for work of the BR.
After two days of imprisonment, Moro is photographed in front of a cloth bearing the words Brigate Rosse and a five-pointed star. The photograph of Aldo Moro in front of the flag of the Red Brigades (of the BR) is an almost immortal image, it has all its iconological characteristics.
The author is one of his executioners and, as far as I know, he is not a photographer. Almost certainly the intent of the photograph is precisely to testify that Moro’s body is in possession of the BR. He is therefore there, in their availability, and we can be sure of this because it is the indexicality of the photograph that assures us. The photograph is a Polaroid, and the choice to use that camera is certainly not accidental. I believe that the decision of the Red Brigades to use the Polaroid was, above all, a choice of convenience.
The technology of Polaroid in fact allows (ed) to avoid the development of the film and the need to print the photograph. Let’s think: a kidnapper who takes a film to a laboratory is unimaginable! And so it is organizing a modest dark room to develop and then print the images. The technology therefore helps the kidnappers: they can provide the rest of the world with an indicative proof that Moro is with them and they do so with Polaroid, a system that allows you to see the photographs instantly and that due to the absence of further processes is a documentary image par excellence.
This is an excerpt from my book LA BATTAGLIA DELLE IMMAGINI
LA PERDITA DELL’INNOCENZA
“Storia Contemporanea” non è forse un anacronismo? Questo progetto è un’inchiesta iconografica e testuale di un periodo a cui sono stati dati differenti appellativi: Anni di Piombo, Strategia della Tensione sono i più noti.
Lo storiografo di oggi che studia la Storia Contemporanea è il primo che può avvalersi di supporti che la storiografia precedente non aveva a disposizione. Non così massivamente, non così capillarmente.
La fotografia è uno di questi mezzi.
Le immagini scattate durante quegli anni sono perlopiù realizzate in bianco e nero. Il bianco e nero dona all’immagine fotografica un’astrazione che contrasta con la precisione di restituzione del reale che è tipica di una fotografia. Ad esempio, la fotografia di Aldo Moro
rapito dalle BR con dietro il drappo e il simbolo del gruppo brigatista è in bianco e nero. Ma quella bandiera nell’immaginario di tutti è sempre stata rossa.
Il colore intende avvicinare al reale e al presente gli avvenimenti di un periodo storico che essendo prossimo e allo stesso tempo distante dall’attuale, rimane in un limbo temporale. Avvolto e sospeso. Troppo giovane per essere storia, già distante per essere presente. Qualcuno dice che un accadimento diventa Storia quando non vi è più la possibilità che venga raccontato oralmente da un superstite o da un testimone.
“La Perdita dell’Innocenza” si è sviluppato tramite una ricerca di materiale scaricata dalla rete, da un editing e dalla successiva colorazione delle immagini avvenuta dopo aver esaminato i cromatismi dell’epoca attraverso i film del- lo stesso periodo e dall’inserimento nelle prime pagine dei quotidiani di fotografie da me scattate dal 1997 al 2002.
Vi sono diversi piani di lettura. Il fine è quello di creare dei ponti temporali per mezzo dell’attualizzazione delle immagini attraverso la loro colorazione e l’inserimento di immagini che rappresentano la nostra quotidianità. Anche i testi che raccontano i fatti avvenuti con le parole sono di recente stesura, riportano fra l’altro notizie dei ventennali o anche trentennali processi posti in essere per individuare i colpe- voli e fare luce sui mandanti degli omicidi e delle stragi. I testi sono volutamente talvolta in Inglese e in Italiano senza una precisa motivazione.
Per me queste immagini rappresentano delle cicatrici: indelebili, permanenti. Quelle immagini non riescono ancora a rimandare a dei ricordi: sono invece e ancora la dimostrazione della persistenza di un evento passato nel presente: respirano, ci toccano. Quando mi ci sono imbattuto ho avuto la sensazione che stessero lottando, lottando per essere ancora utili, per essere viste e vissute ancora, perché, anche se storicizzate, mostrano una guerra intestina che ha stabilito le regole del quotidiano che adesso viviamo.
Il titolo si riferisce a una vera propria vanificazione dell’innocenza o se vogliamo all’inizio della scomparsa dell’ingenuità diffusa nella popolazione. In effetti qui la perdita dell’innocenza si riferisce alla scoperta che ciò che ci circonda è brutale e violento, è il frutto di intrighi internazionali, di spionaggio, di poteri occulti.
Così la bandiera della libertà e del benessere consumistico mossa dalla crescita da nuovi interessi economici scopre e cela dei buchi neri, voragini di incertezza e di paura: inizia a macchiarsi di sangue rivelando che tale ferocia non è nemmeno collegabile a dei veri e propri ideali.
Ma non è solo questo a rendere terribili questi anni. Successivamente la lunghezza dei processi, i colpevoli mai trovati rincara la dose: la legge non funziona. Omicidi e suicidi.
La credibilità nelle istituzioni vacilla. L’operato della classe politica è viziata da interessi personali. Servizi segreti deviati. Mafia, Massoneria. Il potere della Chiesa. Scetticismo, sospetti e paura hanno così reso consistenti la distanza e la separazione delle persone dagli aspetti sociali e politici della collettività dalla nostra esistenza di cittadini.
Secondo alcuni le fotografie ai nostri giorni hanno perso il loro ruolo originario di riportare o di dare ai fatti
riportati una forma visiva emozionale. In realtà la fotografia di adesso ricopre forse più un ruolo di “attestazione”, e di “conferma” di ciò che è già stato mostrato dalla diretta televisiva o dallo streaming. E, forse, l’idea di una fotografia documentaria che viene comunque percepita come uno scenario, un palco in cui l’immagine tende a ovviare la (reale) nozione di ciò che è reale non è cosa così astrusa.
Le foto di quegli anni rimangono un monito, una preghiera e sono le prime “attestazioni” fotografiche della Storia Italiana.