L’immagine in home page è di Davide Limonta, quella qui sopra di Edoardo Montaccini
Anatomia e dinamica di un territorio è un progetto di formazione e ricerca degli studenti-fotografi del Bauer di Milano da me condotto. Interesserà la Valle del Boite (BL) fino al 2026 con la finalità di realizzare uno studio del paesaggio fisico, culturale, sociale e umano, in trasformazione. Infatti, in occasione delle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026, questo territorio cadorino attraversato dalla Statale di Alemagna sarà interessato da una serie di interventi infrastrutturali. Concepito come un lavoro collettivo e condiviso capace di generare relazioni e mostrare l’identità dei luoghi, il progetto si inserisce in un più ampio contesto multidisciplinare di valorizzazione e rigenerazione urbana, artistico, culturale e scientifico e ha come partner territoriali, Afol Metropolitana, il Comune di San Vito di Cadore, Dolomiti Contemporanee e il Dipartimento TeSAF dell’Università di Padova.
Anatomy and dynamics of a territory is a training and research project of the student-photographers of the Bauer Photography School in Milan that I conduct. It will involve the Valle del Boite (BL) until 2026 with the aim of carrying out a study of the physical, cultural, social and human landscape, in transformation. In fact, on the occasion of the Milan-Cortina 2026 Winter Olympics, this Cadore area crossed by the Alemagna state road will be affected by a series of infrastructural interventions. Conceived as a collective and shared work capable of generating relationships and showing the identity of places, the project is part of a broader multidisciplinary context of urban, artistic, cultural and scientific enhancement and regeneration and has as territorial partners, Afol Metropolitana, the Municipality of San Vito di Cadore, Dolomiti Contemporanee and the TeSAF Department of the University of Padua.
Quest’anno il seminario Anatomia e Dinamica di un territorio ha avuto come base Milano.
Milano e Cortina, come ormai noto, sono i comuni che si sono uniti per presentare la candidatura (risultata vincente) per ospitare l’Olimpiade invernale del 2026. E’ però opportuno precisare che le località interessate dall’importante evento non sono esclusivamente le due depositarie della candidatura, vi sono infatti altre località quali Bormio, Livigno, Anterselva, Predazzo e altre che sono dislocate nell’arco alpino lombardo, veneto e trentino. I territori interessati dai giochi sono investiti, a vario titolo, da una serie di interventi che li riguardano direttamente quali, ad esempio, la costruzione di villaggi olimpici1, piste per il bob, stadi del ghiaccio, ma anche da una serie di consistenti interventi infrastrutturali, necessari a favorire l’accessibilità alle sedi degli eventi, che perciò riguardano soprattutto il potenziamento delle vie di comunicazione.
Since we’ve no place to go
Let it snow, let it snow, let it snow
Estratto del testo di Sergio Giusti presente nel volume 2.
Oggi è l’ennesima giornata tersa. I pochi chilometri che mi separano dalle Isole Euganee sono attraversati da un’aria di vetro, il loro profilo nitido impreziosisce la vista che si può ammirare da questa finestra dell’hotel Amazon-Danieli, affacciata sul Lungomare degli Schiavoni. Nella prima fase dell’Epoca di Riconfigurazione Costiera, quando era ormai evidente che il processo avrebbe avuto carattere d’irreversibilità per almeno un secolo, lo spostamento di Venezia in un punto mediano fra le antiche città di Padova e Vicenza appariva di per sé con un tale carattere di urgenza − e oberato inoltre di così tanti problemi tecnologici − che non si diede alcuna priorità agli aspetti puramente estetici della nuova posizione. Il sacrificio della Giudecca e del Lido fu vissuto come una triste necessità e nessuno previde che in tal modo il centro di Venezia avrebbe acquistato una costa al cui orizzonte si sarebbe stagliato un arcipelago. Eterogenesi dei fini.
Io però ho il problema della neve. Le Olimpiadi si terranno fra solo quattro anni e per decreto si tratterà di un’edizione invernale. Inopinatamente, direbbe qualcuno: se esistesse ancora il raziocinio in un’era ad alta tecnologia. La smania rievocativa, invece, non si ferma neppure davanti al nostro clima neomediterraneo, che dovrebbe, così pare, favorire l’indolenza. In questa stanza condizionata, al contrario, la miscela d’aria e vapore d’acqua è tenuta in proporzioni ottimali rispetto alla temperatura e mi permette di vagliare in condizioni di comfort una situazione che normalmente farebbe imperlare di sudore. Prima di tutto, l’acqua dolce: scarseggia nei corsi d’acqua naturali e nei laghi, la cui diminuzione estrema in volume li ha spesso ridotti a pozze di cava asfittiche che bagnano il terrain vague nel quale tanta parte del nostro territorio è stato trasformato. Questa mancanza è bilanciata dall’estesa presenza di impianti di dissalazione con membrane all’ossido di grafene ad alta efficienza energetica. Meno utilizzato è il cloud seeding, la moderna tecnodanza della pioggia
È la città che va in montagna o la montagna che va in città?
Estratto del testo di Giulia Ticozzi presente nel volume 2.
So poco e niente di sport ma immagino che per fare delle olimpiadi invernali serva la montagna.
Poi penso al pattinaggio e al curling e forse questa montagna serve solo per le gare di discesa o magari per attribuirle il ruolo di ambientazione turistica piacevole che invita a consumare meglio e a vivere un’esperienza instagrammabile dal sapore invernale.
Chiudo gli occhi e immagino uno scenario da Vacanze di Natale1, una Cortina innevata, i doposcì pelosi, Alberto Tomba, i fuseaux aderenti che scolpiscono le forme degli atleti, la seggiovia, gli sciatori come indiani metropolitani con la crema fluorescente sui volti.
Stereotipi che ho in mente e che nelle immagini di queste ricerche fotografiche non emergono. Della montagna, qui, in questo libro, troviamo pochissime tracce. Le ricerche degli studenti raccontano un altro paesaggio, in un’altra stagione e da un altro punto di vista.
In effetti, se sciamo su piste completamente artificiali, perché la neve, quella naturale, non c’è, allora possiamo anche immaginarci una città protagonista di questo evento invernale. Sostituiremo la montagna con quei paesaggi artificiali.
Sarà più igienico e sarà più controllabile.
Ma avremo la stessa percezione?
Le fotografie di queste pagine descrivono, attraverso una ricerca sistemica e mai banale, che esiste un micelio che lega il bordo di Milano con questo grande evento.
Non è solo il titolo “Milano-Cortina 2026” che lo giustifica – con i circa 400 chilometri che separano questi due toponimi – ma anche la percezione che questa scelta rispecchi quell’idea di città diffusa, di unica mega urbanizzazione lungo le grandi direttive, dove la montagna è addomesticata e la viabilità trasporta avanti e indietro persone e capitali.
In questo nuovo disegno metropolitano l’essere umano agisce considerandosi superiore alla natura, lo fa per lasciare il segno, per addomesticarla, per arginarla e infine per dominarla.
Seguendo le tracce del seminario precedente abbiamo proseguito con dedizione alla lettura1 del territorio, concentrandoci in special modo su quelle che sono le aree che, in ottemperanza ai piani strategici, sono e saranno oggetto delle trasformazioni più consistenti. Anche l’anno passato (2020) i lavori infrastrutturali2 non erano dappertutto iniziati e spesso quindi ci siamo trovati a impegnare l’immaginazione, a creare simbologie. L’approccio degli studenti si rifà, in via generale, ad una metodologia con la quale i luoghi vengono analizzati sia sotto un aspetto descrittivo, sia narrativo, sia immaginifico dei processi in atto.
Fotografare Milano, forse è superfluo sottolinearlo, non è un compito facile: il suo stesso nome porta con sé un immaginario folto, stratificato e composito che è arricchito da un’autorevole tradizione nell’ambito della fotografia di paesaggio urbano. È vero, però, che noi, con i nostri seminari, abbiamo un focus ben preciso e concentriamo le nostre osservazioni nelle zone in trasformazione e che, di queste due settimane di indagine e sviluppo progettuale, approfittiamo proprio di tale focus per sperimentare linguaggi la cui grammatica può essere distante da quella della documentazione fotografica.
Va chiarito che l’immagine celebrativamente simbolica della metropolitanità di Milano non appare e fa giustamente posto ad un puntinismo di luoghi sparsi che si sparpagliano e raggiungono aree piuttosto distanti dall’area cittadina. Durante questi seminari ci siamo concentrati in particolare sui quartieri e aree della città quali Santa Giulia3, lo scalo di Porta Romana o il Palasharp di Lampugnano, ma ci siamo spinti anche a Seveso, nel parco costruito per commemorare il disastro avvenuto nel 1976 e fino alla Valtellina, seguendo il percorso del treno che da Milano giunge a Tirano.
Questi seminari sono guidati da un percorso di conoscenza ambivalente. Uno è rivolto al territorio con le sue modificazioni nel divenire che esalta l’aspetto oggettivizzante del fotografare, e l’altro è la riflessione fotografico-progettuale e artistica a cui lavorano gli studenti partecipanti e che concerne l’aspetto soggettivo e intellettuale. In questa direzione possiamo considerarlo un seminario di fotografia che senza dubbio intrattiene rapporti con la geografia.
La geografia si occupa di descrivere e di interpretare la superficie terrestre, lo fa attribuendo ai fenomeni fisici e le attività umane la responsabilità della fisionomia e dell’organizzazione dei territori. Dal canto suo, la fotografia, grazie alla sua indicalità, da quando è apparsa si è rivelata essere uno strumento imprescindibile e necessario per mostrare, rappresentare e documentare il mondo.
A partire dalla necessità di Edoardo Montaccini di documentare lo spazio digitale occupato dal futuro evento Olimpico, ci affidiamo a Stefano Bevilacqua, che ci porta all’interno del parco naturale del “Bosco delle Querce” di Seveso: parte dell’area verde sarà probabilmente coinvolta dall’ampliamento della esistente statale SS35 Milano-Meda, all’interno del progetto di espansione dell’autostrada Pedemontana. Irene Facoetti, con l’intento di tenere traccia della trasformazione in corso, ha percorso il perimetro del dismesso scalo ferroviario di Porta Romana fotografandolo nel quotidiano. Completamente diverso approccio ha avuto, sempre nel vecchio scalo, Diletta Simonetti la quale ha creato microcosmiche astrazioni paesaggistiche che fanno da preludio allo sguardo rivolto verso l’alto di Joy Re Cecconi che mira a creare uno spazio simbolico frapponendo l’architettura e gli alberi delle aree limitrofe il detto scalo.
Le figure sfuggenti, perlopiù di spalle, fotografate da Cristel Girotto, si stagliano invece, nell’architettura residenziale del quartiere Santa Giulia e si raccordano con il passaggio veloce, fisico e metaforico, di Alessandro Fabiani all’aeroporto di Malpensa. A Santa Giulia hanno svolto ricognizioni anche Alice Stabile, che si è interessata dello spazio recintato in cui è in corso la bonifica del terreno dove sorgerà il PalaItalia e della relazione di quest’area con le aree limitrofe e Fabio Maritan il quale ha ritratto gli abitanti in un’area verde del quartiere, in posa con i loro cani. L’impostazione seriale di questo ultimo progetto è polare rispetto al lavoro reportagistico e ricco di frammenti visivi presi da Davide Limonta sulla tratta ferroviaria che congiunge Milano a Tirano. Il Palasharp di Lampugnano è stato l’oggetto di osservazione di Andrea Vecchio che ha reso l’inutilizzato palazzetto dello sport, un gigante immobile sospeso in un dormiente intermezzo, ma compreso in un vissuto scenario metropolitano.
Si tratta evidentemente di un insieme di progetti fotografici che mostrano una serie di geografie soggettive che, indipendentemente dall’utilità, anche differita, che questo studio sulla città e sui luoghi indagati potrà avere, riguarda il metodo in cui ciascun studente ha utilizzato il soggetto paesaggio quale luogo in cui esprimere se stesso, le proprie idee, la propria creatività. Le loro esperienze ci coinvolgono in un processo che si interessa sia del ruolo delle immagini nella creazione della conoscenza di luoghi, sia della valutazione e considerazione di questa modalità didattica-partecipata e condivisa di lettura del territorio.